Cronache turche (parte seconda)

Di Francesco Villano

Il 29 marzo 2009, in Turchia, si sono tenute le elezioni amministrative, il cui esito  è stato favorevole all’AKP, il Partito Della Giustizia e dello Sviluppo, di ispirazione islamica moderata che governa il Paese dal 2002. Anche se vittoriosi, i dirigenti del partito con in primis il capo del governo Recep Tayyip Erdogan, hanno seri motivi per non essere soddisfatti. Infatti per la prima volta, dalle elezioni del 2002, devono registrare un netto regresso nel consenso raccolto dagli elettori. Qualche dato: nelle precedenti elezioni amministrative del 2004 l’AKP aveva raccolto il 42% dei consensi, e addirittura il 47% alle politiche del 2007; questa volta invece ci si è fermati al 39% (la stessa percentuale che raccolgono insieme i due principali partiti di opposizione: il socialdemocratico CHP con il 23% e l’ultra nazionalista MHP con il 16%). Un notevole scacco per una leadership che sperava di incrementare ulteriormente il lusinghiero 47% di due anni fa. Certo si può obiettare che le elezioni amministrative non sono la stessa cosa di quelle politiche, ma è indubbio che qualcosa è andato storto nel rapporto con l’elettorato tanto che già si parla di un sostanzioso rimpasto nella formazione governativa. Per capirne le cause bisogna fare qualche passo indietro nel tempo e analizzare ciò che è accaduto in Turchia a partire dal 30 luglio 2008, quando la Corte Costituzionale si è pronunciata sulla legittimità o meno dell’Akp; se in altre parole l’Akp avesse o meno violato la fondante laicità costituzionale dello Stato turco. Degli undici membri della Corte sei votarono contro mentre gli altri cinque a favore. Essendo richiesto il consenso di almeno sette dei votanti per esprimere un verdetto di condanna, l’Akp e con esso la Turchia tutta si salvarono, per il rotto della cuffia, da un traumatico scioglimento il primo e da un quasi inevitabile clima da guerra civile la seconda. L’unica ma pur sempre significativa sanzione fu quella di ridurre del 50% i finanziamenti del Tesoro all’Akp.  Ma come  si era giunti a quel punto? Alle elezioni politiche del 2007 l’Akp guidato da Recep Tayyp Erdogan, che poi era diventato primo ministro, aveva ottenuto il 47% dei voti ed i due terzi dei seggi in parlamento. Dopo alcune settimane era riuscito ad occupare, con Abdullah Gul, anche la presidenza della repubblica. Questi due avvenimenti avevano  grandemente allarmato la Turchia dei laici e dei potentissimi militari che da sempre hanno tutelato la Turchia dalle possibili derive anti-costituzionali. Ricordiamo che il principio fondante dello Stato turco è la laicità che prevede, tra l’altro, il totale controllo della sfera religiosa da parte dello Stato. L’Akp, con la vittoria elettorale, si riconfermava alla guida del Paese ma la grande novità risiedeva nel vasto consenso popolare ottenuto. Ed è da qui che ha preso l’avvio una fase delicatissima per gli equilibri del Paese. Infatti l’Akp, sentendosi da un lato con le spalle forti per il grande successo elettorale e volendo dall’altro dare espressione ad alcune richieste della base, è incorso in un autogol quando ha cercato, nel febbraio dello stesso anno, di far passare un emendamento costituzionale che eliminava il divieto di indossare il velo  negli uffici pubblici, a iniziare dalle università. L’emendamento è stato poi ritirato ma, per l’articolo 4 della Costituzione, già proporre delle modifiche costituzionali su tali temi costituisce una violazione della carta fondamentale, per cui il Procuratore capo della suprema corte di appello turca ha accusato l’Akp di iniziative anti-laiche; ha richiesto pertanto lo scioglimento del partito e l’interdizione da qualsiasi carica pubblica per cinque anni per Erdogan, Gul e altri sessantanove membri del partito. Su questo si è dovuta pronunciare la Corte Costituzionale, che con grande saggezza ed equilibrio ha evitato al Paese un salto nel vuoto dagli imprevedibili esiti, tenendo conto da un lato sia delle esigenze costituzionali che dei chiari risultati delle elezioni, dall’altro sia dei notevoli ed incontestabili progressi economici fatti dal paese con l’Akp al potere sia dell’attenzione internazionale, in particolare in sede UE, con cui si è attesa la sentenza.  Lo scampato  pericolo avrebbe dovuto portare consiglio alla dirigenza dell’AKP; avrebbe dovuto far capire che prudenza, moderazione, equilibrio e rispetto pieno delle regole democratiche sono ingredienti necessari e fondamentali per governare, e non qualcosa di cui si può tener conto a proprio piacimento.   Alcune vicende successive, interne ed internazionali, hanno evidenziato quanto appena detto;iniziamo dalle prime. Nel settembre del 2008, i quotidiani (Hurriyet, Milliyet,etc…) controllati da Aydin Dogan, maggiore editore del paese, hanno denunciato una vicenda di finanziamenti illeciti che prende l’avvio in Germania dall’attività di una società benefica turca: la Deniz Feneri (faro del mare), accusata di aver dirottato buona parte della consistente cifra raccolta (in Germina, Austria, Olanda e Turchia), presso un alto funzionario dell’AKP per finanziare un canale televisivo islamico e l’islam politico in generale. Qualche ipotesi più azzardata arrischia, per una parte della cifra, anche un finanziamento di Hamas. Il tutto fa crollare l’Akp, di ben 15 punti, nei sondaggi.La reazione di Erdogan è esplosiva. Accusa pubblicamente Aydin Dogan di avergli messo contro tutti i principali media del Paese per screditarlo; respinge le accuse di corruzione al suo partito e contrattacca affermando che quella dell’editore è una ritorsione per non aver ottenuto la concessione per edificare un terreno tutelato dal vincolo ambientale.  Dogan replica difendendo il suo operato e accusando il premier di volere limitare la libertà di stampa. A questo punto Erdogan tracima e, nel corso di una cena, dimenticandosi di essere il Primo Ministro di uno stato democratico, arriva ad invitare i dirigenti e militanti del proprio partito a boicottare le pubblicazioni del Dogan Group: «A voi, membri del partito Akp, dico che dovreste cominciare la vostra personale campagna contro i media che pubblicano falsità non facendoli entrare nelle vostre case. Non comprateli». Agli osservatori dell’Ue questa “poco” democratica esternazione non sarà di certo piaciuta! La querelle continua, con toni e azioni sempre più aspre, quando, in seguito, la magistratura tedesca invia ai colleghi turchi i fascicoli processuali sì che anch’essi possano indagare sul loro contenuto. A quel punto il governo attacca il Dogan Group attraverso una notifica, da parte del Tesoro, di una maxi-multa da mezzo miliardo di dollari a causa di  un presunto illecito fatto relativamente ad una cessione di quote effettuata nel 2006 al gruppo tedesco Axel Springer. Il Dogan Group parla di attentato alla libertà di stampa, ma il premier dice di non esserne al corrente. A questo punto interviene il capo della procura di Ankara che conferma l’arrivo del fascicolo presso il suo ufficio e assicura che il tutto verrà tradotto entro marzo per procedere con le indagini, affermando: “La magistratura farà tutto quello che c’è da fare”. Magistratura che dovrà anche affrontare l’inquietante vicenda che fa capo all’organizzazione estremo nazionalista-affaristica denominata Ergenekon, ritenuta responsabile di tutto un insieme di azioni delittuose, tra cui l’uccisione del giornalista armeno Hrant Dink, atte a destabilizzare la struttura democratica del Paese. In altro ambito, quello scientifico, durante il mese di marzo dell’anno in corso, si è registrata una nuova dura polemica. Cigdem Atakuman, la direttrice della principale rivista scientifica turca, Scienza e Tecnica, pubblicata dal Tubitak (Consiglio di Scienza e Ricerca turco), è stata licenziata in tronco da Omar Cebeci, vicepresidente del Tubitak, per aver messo in copertina nell’ultimo numero della rivista una foto di Charles Darwin e all’interno un servizio di 16 pagine sulle teorie evoluzioniste.La ragione addotta era che l’articolo era stato preparato in tempi troppo brevi (un solo week end), e che quindi potesse non essere stato fatto al meglio! Il tutto èstato poi sostituito con un articolo sui cambiamenti climatici. Immediata la protesta di numerosi scienziati turchi che, in un comunicato, avevano detto di “star vivendo uno degli eventi più vergognosi”della storia del Paese. Comunque questa faccenda, pur evidenziando, anche tra gli studiosi, la costante contrapposizione tra islamici e laici, si è chiusa rapidamente con il reintegro della direttrice. Altro fattore, il più importante di tutti, che sta a monte del risultato elettorale del 29 marzo scorso, è stato quello di aver sottovalutato il tipo di impatto che la crisi economica mondiale potesse avere sulla situazione economica del Paese. In effetti, a fronte di dichiarazioni ottimistiche che parlavano di una sostanziale tenuta economica (saremo il Paese che ne risentirà di meno; la crisi ci sfiorerà), vi è stata, in realtà, una decrescita del 6.25 in questo primo quarto del 2009. Ovviamente le conseguenze sul piano occupazionale sono state molto rilevanti ed il governo centrale non ha saputo reagire con misure adeguate; tra l’altro, non avendo offerto adeguate garanzie al F.M.I. che era disposto a concedere nuovi prestiti, si è di fatto privato il Paese dell’”ossigeno “ di cui necessitava. Si è anche supposto che il governo avesse sperato, in vano, di ottenere un aiuto finanziario dal mondo arabo. Tutto ciò ha generato un gran malcontento che ha trovato puntuale conferma nell’esito delle urne, che tra l’altro è stato funestato da gravi  incidenti che hanno causato sei morti e un centinaio di feriti. Le vicende internazionali. Anche in  questo ambito il Primo Ministro ed il Governo da lui presieduto hanno avuto dei comportamenti che in più di un’occasione hanno polarizzato le divisioni “fisiologiche” del Paese e creato sconcerto all’esterno. Evento scatenante è stata l’operazione “piombo fuso” a Gaza. La “guerra” di Israele contro Hamas non è proprio scesa giù a Erdogan. Vari fattori hanno orientato i comportamenti del Primo ministro: 1) alcuni commentatori ritengono che la sua “simpatia” per Hamas sia da rintracciare nella apparente medesima vicenda politica vissuta sia da Hamas nel 2006 che dall’AKP nel 2002: un partito che ottiene  regolarmente una vittoria elettorale ma al quale, in seguito, si fa di tutto per non riconoscergliela. 2) il fatto che Hamas sia un partito islamico, sì fondamentalista, ma in ogni caso orientato religiosamente come l’AKP. 3) La costante apertura e attenzione ad est dell’attuale politica estera turca. In effetti se da un lato c’è la riscoperta delle proprie radici ottomane, con conseguente attenzione a tutti i paesi islamici dell’area, dalla Siria all’Iran, dall’altro c’è l’apertura a tutti quei Paesi centro asiatici che, islamici o meno, le sono etnicamente affini. L’immediata conseguenza di questi sviluppi è il ruolo di autorevole mediatore che la Turchia si sta sempre più ritagliando nelle varie crisi che caratterizzano questa ampia regione, anche se, nel mondo arabo, deve fare i conti con il tradizionale ruolo geopolitico svolto dall’Egitto. E Israele? Dalla fondazione dello stato degli Ebrei i rapporti tra la laica Turchia e Israele sono sempre stati buoni, soprattutto in ambito militare. Altro fattore che li accomuna e che li distingue dagli altri Paesi del Medio Oriente è che  sono gli unici ad essere industrializzati. Tutto questo fino all’incontro di Davos (forum economico mondiale) di inizio febbraio dove Erdogan, ad un incontro con il presidente israeliano Shimon Peres e prendendo a pretesto un diritto di replica che non gli era stato concesso (secondo lui) dal moderatore, ha inveito in maniera inaccettabile e inqualificabile contro il Presidente israeliano per la vicenda di Gaza e lo ha anche qualificato:”come qualcuno che sa bene come uccidere la gente”. Dopo di che ha abbandonato non solo la sala ma la stessa Davos. Acclamato da una osannante folla di sostenitori al suo rientro in patria oltre che da tutto il mondo arabo, da Hamas all’Iran, ha al contrario lasciato esterrefatto tutto il mondo occidentale, che ha iniziato ad interrogarsi seriamente sulle conseguenze di un tale inaccettabile esternazione. Le reazioni più pungenti le ha ricevute, come era logico, dalla libera stampa laica del suo Paese, Hurriyet in testa. Perché l’ha fatto? Quale il suo scopo? Solo le intemperanze di un carattere collerico? Yusuf Kanli, uno dei più apprezzati editorialisti dell’Hurriyet, ha anche ipotizzato che sia stata tutta una messa in scena per favorire in un modo o nell’altro il leader turco, basando ciò sia sulla tiepida reazione di un uomo dello spessore di Shamir, sia su alcune affermazioni contenute in un articolo pubblicato sul quotidiano israeliano Jerusalem Post a firma di Herb Keinon, affermato opinionista, che potevano far pensare ad una tale eventualità. In ogni caso quella che poteva essere la scintilla di un’ulteriore forte dinamica destabilizzante per tutto il Medio Oriente è stata rapidamente spenta, anche se l’emergere di nuovi protagonisti sulla scena, dopo le elezioni politiche in Israele, apre degli scenari per niente tranquillizzanti. L’analisi dei fatti più rilevanti della politica turca dell’ultimo anno sarebbe incompleta se non si prestasse attenzione alle stato delle trattative per l’ammissione della Turchia nell’U.E. Concreti passi in tal senso, dalla Turchia, sono stati fatti. Rimane ancora non risolto il nodo del “genocidio”degli armeni, ma si stanno per normalizzare i rapporti tra lo Stato turco e quello armeno. Anche sul fronte curdo si stanno facendo dei passi avanti: in una recente visita in Iraq, il Presidente Gul ha riconosciuto ufficialmente l’autonoma provincia curda dell’Iraq; in cambio di tale riconoscimento si aspetta un sostegno nella lotta al PKK, con il quale è impegnato da anni in una sanguinosa lotta armata e che ha basi nel Kurdistan iracheno. Anche il problema Cipro è all’ordine del giorno dell’agenda governativa. Molto altro resta da fare, in particolare nell’ambito dei diritti civili; c’è in effetti bisogno di un insieme di condivise riforme costituzionali, che il governo sembra intenzionato a fare. In conclusione ci sembra opportuno formulare due interrogativi. Il primo: la Storia, quella con la esse maiuscola,  ha posto gli attuali governanti turchi di fronte a una complessità di problematiche geopolitiche e geostrategiche che, se adeguatamente risolte, permetteranno alla Turchia di diventare al massimo grado ciò che già è: l’imprescindibile e insostituibile centro di raccordo delle molteplici  relazioni  tra l’Occidente e l’Oriente; saranno in grado i leaders del Paese di gestire una tale situazione? Il secondo: ma l’UE ha la reale intenzione di annettere la Turchia? Ha capito fino in fondo che i vantaggi di una tale adesione saranno di gran lunga maggiori rispetto alle problematiche, anche forti, che inevitabilmente si presenteranno? Cosa si vuole? Che la Turchia, rifiutata da parte dell’Occidente europeo, volga il suo sguardo totalmente ad est? Che al di là del suo ruolo geostrategico filo-occidentale, conformi il suo essere come Paese a criteri non occidentali? Sembra che, oltre l’Italia, la Spagna e la Gran Bretagna, solo gli Stati Uniti di Obama abbiamo capito fino in fondo la reale natura della partita che si sta giocando, come si evince chiaramente dal discorso tenuto il 5 aprile nel  parlamento di Ankara; mentre Francia e Germania sembra che  non riescano a guardare più in là del loro orticello.

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